domenica 23 agosto 2015

Tumori estrogeno-dipendenti

(Dal sito My personal trainer)

Si definiscono Estrogeno-Dipendenti tutte quelle forme tumorali la cui insorgenza e crescita è promossa o comunque favorita dalla presenza di ormoni estrogeni.

In particolare, tra i tumori estrogeno dipendenti si ricordano alcune forme di:

* cancro al seno
* carcinoma dell'endometrio uterino (lo strato più superficiale dell'utero)
* cancro all'ovaio

L'ormono-dipendenza viene stabilita cercando la presenza di specifici recettori ormonali nelle cellule tumorali asportate.
Buona parte ma non tutti i carcinomi mammari, per esempio, risultano dipendenti dagli estrogeni per la proliferazione delle cellule cancerose.
Inoltre, lo stato ormonale di un tumore può variare con il passare del tempo: ad esempio, frequentemente i tumori del seno in fase iniziale sono tumori ormono-dipendenti a differenza dei tumori mammari in fase avanzata che non lo sono o lo sono meno.

L'importante ruolo degli ormoni estrogeni nella crescita e nell'estensione di queste forme tumorali, ha spinto i ricercatori a sperimentare l'efficacia antitumorale di farmaci in grado di ridurre la sintesi di estrogeni e/o bloccarne l'azione biologica, ottenendo risultati positivi soprattutto nel trattamento del cancro al seno.

Tra questi farmaci ricordiamo:

* Tamoxifene (es. Nolvadex, Tamoxifene AUR, Nomafen): impedisce, attraverso un meccanismo di competizione biologica, il legame tra gli estrogeni ed il loro recettore; viene quindi utilizzato nel trattamento del tumore al seno nelle donne in età fertile, nelle quali i suddetti ormoni vengono prodotti principalmente dall'ovaio;
* Exemestane (es. Aromasin), Anastrozolo (Arimidex): bloccando l'attività dell'aromatasi (un enzima che converte gli androgeni in estrogeni), sono indicati per trattare le forme tumorali estrogeno-dipendenti nelle donne in post-menopausa, nelle quali la sintesi estrogenica ovarica è minima e gli estrogeni vengono prodotti in minime quantità in periferia, soprattutto nel tessuto adiposo (le donne obese corrono, per esempio, un maggior rischio di sviluppare cancro all'endometrio e alla mammella).

Allo stesso tempo, l'importante ruolo degli ormoni estrogeni nella crescita e nell'estensione di queste forme tumorali, rende ragione della necessità - in caso di forma tumorale estrogeno-dipendente già manifesta o predisposizione familiare/genetica ad essa - di evitare l'assunzione a lungo termine di farmaci o preparati che possono esaltare la sintesi o l'attività degli ormoni estrogeni:

* pillola anticoncezionale combinata, anello vaginale, cerotto anticoncezionale
* terapia ormonale sostitutiva in menopausa
* farmaci androgeni, steroidi anabolizzanti
* prudenza nell'utilizzo di alcuni preparati fitoterapici contenenti fitoestrogeni, come soia, cimicifuga e trifoglio rosso, o di oli essenziali contenenti composti ad attività estrogenica (es. olio essenziale di finocchio, anice, salvia o erba moscatella)

Anche la menopausa tardiva, specie se associata a pubertà precoce, rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di forme tumorali estrogeno-dipendenti, soprattutto per il cancro al seno, poiché maggiore è il tempo di esposizione dell'organismo agli estrogeni endogeni.
Da segnalare, come l'asportazione delle ovaie e delle tube di Fallopio a donne ancora fertili possa arrestare o rallentare la crescita di tumori al seno e alle ovaie che hanno bisogno di estrogeni per crescere, sebbene si tratti ovviamente di una scelta terapeutica non così immediata.

Per quanto riguarda il cancro del colon ed il cancro della prostata, gli ormoni estrogeni sono talvolta utilizzati in terapia come coadiuvante per favorire la regressione del tumore o aumentare la sopravvivenza del paziente, in quanto sembrano sortire un effetto positivo in tal senso.

Quelle illustrate nell'articolo sono naturalmente informazioni di carattere generale, spetta infatti al medico stabilire la natura estrogeno-dipendente di una forma tumorale e la terapia medica più idonea.
Ad esempio, prove sperimentali hanno evidenziato come la somministrazione di soli estrogeni in donne isterectomizzate (a cui era stato in precedenza asportato chirurgicamente l'utero) non ha determinato alcun aumento di incidenza del cancro al seno, o ne abbia addirittura prevenuto l'insorgenza.
Anche nelle donne con utero intatto la terapia ormonale sostitutiva con soli estrogeni sembra non aumentare l'incidenza di neoplasie alla mammella; purtroppo tende ad elevare il rischio di neoplasie dell'endometrio, per cui in genere si preferisce associare un progestinico (naturale o sintetico), sebbene la combinazione dei due aumenti il rischio di cancro alla mammella.

Ancora, la terapia ormonale sostitutiva sembra ridurre in maniera significativa l'incidenza di cancro al colon, mentre l'utilizzo della pillola anticoncezionale combinata sembra rappresentare un fattore protettivo nei confronti del cancro all'ovaio.

In generale, il rapporto tra terapie ormonali e rischio di forme tumorali estrogeno-dipendenti rimane un argomento piuttosto controverso, sul quale l'ultimo a pronunciarsi non può che essere il medico che ha in cura la paziente.

Cancro e ormoni

Alcuni ormoni sono correlati allo sviluppo di neoplasie, promuovendo la proliferazione cellulare.
I tumori la cui nascita è maggiormente influenzata dagli ormoni sono quelli legati al sesso come il cancro della mammella, dell'endometrio, della prostata, dell'ovaio e del testicolo, oltre ai tumori della tiroide e delle ossa.

I livelli ormonali di un individuo sono in gran parte determinati geneticamente, quindi questo potrebbe spiegare almeno in parte la presenza di alcuni tipi di neoplasie che si verificano spesso all'interno di alcuni gruppi familiari che non presentano geni particolari.
Ad esempio, le figlie di donne che hanno avuto un cancro alla mammella, hanno livelli significativamente più elevati di estrogeni e progesterone.
Questi elevati livelli di ormoni possono spiegare perché queste donne hanno un rischio più elevato di neoplasie mammarie.
Allo stesso modo, gli uomini di origine africana hanno livelli significativamente più elevati di testosterone rispetto agli uomini di origine europea e di conseguenza presentano un'incidenza di tumore alla prostata più elevata.
Gli uomini di origine asiatica, con i più bassi livelli di testosterone, godono della minore incidenza.

Tuttavia, i fattori non genetici sono anche rilevanti: le persone obese hanno più alti livelli di alcuni ormoni associati con il cancro e quindi una maggiore incidenza di tali tumori.
Le donne che assumono terapia ormonale sostitutiva hanno un rischio maggiore di sviluppare tumori associati a questi ormoni.
Alcuni trattamenti e approcci di prevenzione prevedono la riduzione artificiale dei livelli di tali ormoni, al fine di evitare i tumori ormone-sensibili.

giovedì 9 luglio 2015

Nuovi test per identificare il tumore alla prostata, onde sonore e un super esame del Psa

Il problema del Psa è che aumenta nel tumore ma anche per infiammazioni e la più comune ipertrofia della prostata.
Per questo si stanno usando anche altri test. I più utilizzati sono il Pca3 e il proPsa.
Il primo è un test genetico su urine dopo massaggio prostatico. Indici elevati (+35%) consigliano di ricorrere alla biopsia.

Il proPsa si esegue sul sangue dove si misura una frazione della molecola del Psa che, raffrontato al Psa totale e libero, consente di calcolare l'indice di salute prostatica, il Phi, acronimo inglese di Prostate Health Index.
Percentuali tra 0 e 22 escluderebbero il tumore, quelle >di 45 indicano un'alta probabilità di tumore, e una zona grigia, compresa tra 23 e 44 in cui decide l'urologo.

Tumore alla prostata, con una nuova tecnica biopsie a colpo sicuro

(Tratto dal sito Repubblica-Salute. Vedi articolo originale)

Il tumore della prostata è in aumento ma la buona notizia è che la mortalità è diminuita del 36%.
La sopravvivenza, negli ultimi 20 anni, è addirittura quintuplicata grazie ad una diagnosi sempre più precoce, alla radicalità delle tecniche chirurgiche, alla radioterapia, ma soprattutto ai progressi della terapia per le forme metastatizzate.
In pratica, a oggi, il tumore della prostata potrebbe essere considerato proprio come una malattia cronica al pari del diabete, o dell'ipertensione. Infatti, anche per quei pazienti affetti da carcinoma in fase avanzata e resistente alla terapia ormonale, negli ultimi 5 anni si è registrata una disponibilità di farmaci veramente innovativi, in grado di migliorare la sopravvivenza, anche dopo l'insuccesso della chemioterapia.
Il primo è l'abiraterone acetato, che inibisce gli ormoni in ogni sede di produzione, in particolare all'interno del tumore stesso, bloccando la produzione autonoma di testosterone da parte delle cellule prostatiche e togliendo loro lo stimolo ormonale necessario alla sua crescita.
Più recente è l'enzalutamide, che agisce bloccando i recettori cui il testosterone aderisce per essere trasportato all'interno della cellula fino al nucleo e al Dna, impedendo la crescita tumorale.

Il farmaco. Infine un radiofarmaco indicato solo per le metastasi ossee e quindi il dolore; si tratta del Radium 223 capace di incorporarsi nella sede delle metastasi scheletriche e uccidere le cellule tumorali con le radiazioni alfa, riducendo al minimo gli effetti collaterali.
Gli studi clinici eseguiti hanno dimostrato aumento della sopravvivenza e miglioramento della qualità della vita.
A oggi però il problema più importante è l'incertezza della diagnosi.
La neoplasia della prostata, interessa 36 mila nuovi soggetti all'anno a fronte però di 100 mila biopsie effettuate; in pratica, tra il 65 e 70% dei casi la biopsia con scopre alcun tumore, nonostante il Psa sia più alto della norma.
Se da una parte tutto questo provoca euforia e tranquillità iniziale nel paziente, dopo qualche mese ne aumenta invece le preoccupazioni perché, spesso, il Psa continua ad innalzarsi.
Si fa strada così il sospetto che il tumore possa in realtà esserci ma in una parte della ghiandola dove non è stato infilato l'ago.
Infatti, tenendo presente che sono ritenuti normali valori inferiori o uguali a 2.5 ng/ml per soggetti di 50-65 e inferiori o uguali a 4 ng/ml dai 65 anni in poi, fino ad oggi, la stragrande maggioranza delle biopsie viene fatta "at random", cioè senza un bersaglio preciso, dato che nel 60-70% dei casi è solo il Psa a suggerire l'esecuzione della biopsia in assenza di segni clinici o ecografici.

Il test del Psa. In pratica, una conferma al fatto che il test del Psa ha dei limiti proprio per la scarsa specificità.
E da qui la necessità di ricercare altri segnali più affidabili dal punto di vista della diagnosi, ricorrendo ai nuovi marcatori che, in presenza di Psa elevato, dovrebbero consentire di limitare proprio il numero di biopsie.
Utili anche nuove indagini strumentali che indichino dove fare la biopsia, unica a fornire la certezza della diagnosi.

Fino a 36 prelievi. A oggi, in moltissimi casi, sotto guida ecografica, si eseguono 18, 24 o addirittura 36 prelievi, anche per due o tre volte, con la speranza di centrare le cellule tumorali.
Per evitare però questi prelievi multipli, con il pericolo di infezioni e ritenzioni di urine, un ruolo sempre più importante viene riconosciuto alla risonanza magnetica nucleare, associata alla ecografia, e più recentemente alla risonanza magnetica multiparametrica.
Il primo sistema, detto sistema BiopSee, unisce all'efficienza delle immagini ecografiche real-time l'efficacia delle immagini di Risonanza Magnetica Nucleare e consente di eseguire biopsie di precisione mirate alle lesioni sospette.

La risonanza. La risonanza magnetica (RM) Multiparametrica rispetto alla RM convenzionale, rappresenta invece un importante elemento per pianificare il percorso diagnostico dei pazienti con sospetto tumore alla prostata, fornendo immagini che fanno individuare anche piccole modificazioni strutturali, informazioni sulla ricca cellularità e vascolarizzazione del tumore.
La novità delle nuove apparecchiature è una bobina Siemens con 60 canali, che migliora la qualità dell'immagine e quindi facilita la individuazione della lesione anche di dimensioni millimetriche, compresi tra 0,6 e 6 mm, e risulta confortevole in quanto non utilizza la bobina endorettale.
Questo esame, ha un valore predittivo negativo intorno al 90% per escludere la presenza di tumore prostatico: quindi se la RM multiparametrica è negativa non serve fare biopsia.
Questo esame è già consigliato da molte assicurazioni della Gran Bretagna e inizia ad affacciarsi nelle linee guida per la sua potenzialità di risparmiare costi della sanità e migliorare la diagnosi risparmiando sofferenze al paziente.

La diagnosi. Ma una volta diagnosticati i tumori della prostata non sono tutti uguali: in tanti soggetti crescono lentamente, in altri molto più velocemente.
Ne consegue quindi come sia importante valutare nella maniera più accurata possibile l'aggressività del tumore per determinare la prognosi e la strategia di trattamento più appropriato, limitando le terapia inutili.

venerdì 1 maggio 2015

Cancro: nuovo test lo predice con 13 anni di anticipo

Dal sito La Repubblica (vedi articolo originale)

Precisione del 100 % in uno studio dei ricercatori dell'università di Harvard e della Northwestern. La chiave è in un invecchiamento precoce ed estremamente rapido della regione terminale dei cromosomi, il telomero

LONDRA - Un gruppo di ricercatori americani ha concepito un nuovo test in grado di predire con 13 anni di anticipo e con una precisione del 100% se una persona svilupperà un cancro.
E' quanto sono riusciti ad ottenere ricercatori della universita' di Harvard e della Northwestern, scoprendo che piccoli ma significativi cambiamenti avvengono in tutti gli esseri umani che si ammaleranno di cancro, molti anni prima dell'insorgenza della malattia.

La chiave e' in un'anomalia, un invecchiamento precoce ed estremamente rapido, della regione terminale dei cromosomi, il telomero, che protegge il Dna da mutazioni.
In quanti, dopo 10/13 anni avranno un tumore, i telomeri sono molto usurati: in sintesi sembrano appartenere a persone di almeno 15 anni piu' vecchie.

I telomeri si accorciano - normalmente - ad ogni ciclo replicativo delle cellule e questo processo e' legato all'invecchiamento cellulare.
I telomeri, nelle persone che in seguito si ammalano di cancro, sono molto piu' corti (piu' vecchi) e continuano ad accorciarsi sempre piu' rapidamente. Tale processo si ferma pero' 4 anni prima che il tumore si sviluppi.

I ricercatori hanno quindi trovato un legame tra questo anomalo e precoce accorciamento dei telomeri e le persone che si ammalano di cancro.
Un esame dello stato di salute (la lunghezza) dei telomeri puo' quindi aiutare a predire la genesi di una forma tumorale.
Nello studio i ricercatori hanno ripetutamente misurato, per un periodo di 13 anni, i telomeri di 792 persone.
Di quelle 135, che alla fine si sono ammalate di diversi tipi di cancro, incluso quello alla prostata, alla pelle, al polmone e di leucemia, si e' assistito al comportamento anomalo dei telomeri.
Inizialmente questi sono invecchiati molto piu' rapidamente del normale, si accorciavano precocemente e rapidamente ma poi tutto si fermava 3/4 anni prima della diagnosi della malattia.

giovedì 5 febbraio 2015

Un attacco al 'motore' del cancro alla prostata avanzato, in Italia un nuovo farmaco

Riferimenti: Articolo tratto dal sito adnkronos

Un'arma per mirare dritto al 'motore' che fa crescere il cancro alla prostata, il recettore del testosterone. Dopo il fallimento della chemioterapia per i pazienti con carcinoma avanzato resistente alla castrazione è oggi disponibile in Italia un nuovo farmaco: enzalutamide, un agente ormonale di ultima generazione che si assume per via orale. Un'opzione in più 'nell'armadietto' degli oncologi per trattare, migliorando sopravvivenza e qualità di vita, i malati più difficili, rimasti a lungo "praticamente orfani di cure efficaci", sottolineano gli esperti oggi durante un incontro promosso a Milano da Astellas Pharma che ha messo a punto il farmaco, dispensato dal Servizio sanitario in fascia 'H', dietro ricetta non rinnovabile dei Centri ospedalieri o degli specialisti.

La nuova terapia aggiunge un tassello alle strategie disponibili contro il cancro della prostata, secondo per diffusione nella popolazione maschile europea dopo i tumori cutanei: rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli over 50 e la fascia più colpita è quella over 70, anche se nell'ultimo decennio sono in aumento i casi registrati tra i 60 e i 70 anni. Complessivamente il cancro alla prostata viaggia in Italia al ritmo di circa 42 mila nuove diagnosi l'anno e causa 8 mila morti. E se, con la diagnosi precoce e il contributo delle nuove tecnologie, fa in generale meno paura di un tempo (la sopravvivenza è di circa l'88% a 5 anni dalla diagnosi), è anche vero che oltre il 40% degli uomini colpiti sviluppa metastasi e, di questi, un numero elevato diventa resistente alla castrazione, ossia al trattamento di deprivazione androgenica.

Non mancano le diagnosi tardive: "Circa il 10-20% dei casi viene 'stanato' in fase già avanzata - spiega Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all'università Sapienza di Roma e direttore dell'Unità operativa complessa di oncologia medica dell'Azienda ospedaliera Sant'Andrea della Capitale - Questo dipende in parte dalla natura del tumore, le cui alterazioni nella parte più esterna della ghiandola prostatica non danno segni della patologia se non quando il tumore è molto cresciuto, in parte dalla carenza di indagini diagnostiche".

Oggi il paziente si trova davanti diverse strade, da modulare in base alle caratteristiche e al grado di aggressività della malattia: chirurgia, radioterapia, ablazione focale, ormonoterapia, chemio. "La terapia ormonale, uno dei cardini del trattamento farmacologico - spiega Francesco Montorsi, professore ordinario di Urologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano - fa leva sul ruolo che gli androgeni, in particolare il testosterone, giocano nella crescita, lo sviluppo e la proliferazione del tumore prostatico".

Enzalutamide inibisce in modo selettivo il recettore degli androgeni (testosterone), bloccandolo in maniera duratura nel tempo, ripristinando un controllo sulla cellula tumorale prostatica e inducendone in alcuni casi la morte. Il recettore degli androgeni è "il principale oncogene responsabile dell'aggressività della neoplasia - chiarisce Alfredo Berruti, professore associato di Oncologia medica all'università degli Studi di Brescia, Ao Spedali Civili - Il nuovo farmaco azzera la sua funzione stimolante agendo a più livelli: inibisce il legame recettore-testosterone, inibisce la traslocazione del segnale dal citoplasma all'interno del nucleo delle cellule e, da ultimo, inibisce la stimolazione del Dna a sintetizzare le proteine responsabili della crescita tumorale".

Nello studio Affirm, enzalutamide si è mostrato in grado di contrastare la crescita del tumore e delle metastasi, migliorando in maniera la sopravvivenza globale (4,8 mesi) rispetto al placebo (18,4 vs 13,6 mesi), con miglioramento della sopravvivenza libera da progressione radiografica, in pazienti che si dimostravano non più responsivi all'ormonoterapia tradizionale e alla chemioterapia. "Siamo un'azienda che investe il 17% del fatturato, quindi oltre un miliardo di euro l'anno, in ricerca - sottolinea Ermanno Buratti, direttore generale Astellas Pharma - enzalutamide, insieme ad altri prodotti, è il risultato di questo sforzo enorme".

sabato 3 gennaio 2015

L'assunzione di latte intero è associato alla mortalità specifica da cancro alla prostata

Studi precedenti hanno stabilito che più elevata è l’assunzione di latte e maggiore è l’incidenza di cancro della prostata (PCa), ma sono disponibili poche informazioni che riguardano i tipi di latte e la relazione tra assunzione di latte e rischio di PCa mortale.
Abbiamo studiato l’associazione tra l’assunzione di prodotti lattiero-caseari e l’incidenza e la sopravvivenza al PCa durante un follow-up di 28 anni. Abbiamo condotto uno studio di coorte nel Physicians’ Health Study (n = 21,660) ed un’analisi della sopravvivenza tra i casi incidenti di PCa ((n = 2806).
Le informazioni sul consumo di prodotti lattiero-caseari sono state raccolte all’inizio.
I casi di PCa ed i decessi (n = 305) sono stati confermati durante il follow-up.
L’assunzione di prodotti lattiero-caseari interi è stata associata con un aumento dell’incidenza del PCa [HR = 1.12 (95% CI: 0.93, 1.35); >2.5 porzioni/d  vs. ?0.5 porzioni/d].
L’assunzione di latte scremato o con basso contenuto di grassi ha mostrato un’associazione positiva con il rischio di forme cancerose di grado inferiore, di stadio precoce e rilevabili con lo screening, mentre il consumo di latte intero è stato associato solo con forme di PCa letali [HR = 1.49 (95% CI: 0.97, 2.28); ?237 mL/d (1 dose/d) vs. consumo raro].
Nell’analisi della sopravvivenza il consumo di latte intero resta associato al rischio di progressione verso una forma letale dopo la diagnosi [HR = 2.17 (95% CI: 1.34, 3.51)].
In questa coorte prospettica il maggior consumo di latte scremato o a basso contenuto di grassi è stato associato con una maggiore incidenza di PCa non aggressivo.
Ciò che ha maggiore importanza è che solo il latte intero presenta una consistente associazione con una maggiore incidenza di forme letali di PCa nell’intera coorte e una più elevata mortalità specifica per il PCa tra i casi.
Queste osservazioni portano ulteriormente ad ipotizzare il ruolo potenziale dei prodotti lattiero-caseari nello sviluppo e nella prognosi del PCa.

Studio scientifico

Whole milk intake is associated with prostate cancer-specific mortality among U.S. male physicians. Song Y, Chavarro JE, Cao Y, Qiu W, Mucci L, Sesso HD, Stampfer MJ, Giovannucci E, Pollak M, Liu S, Ma J., J Nutr. 2013 Feb;14 3(2):189-96.