giovedì 16 ottobre 2014

Controllare i valori dell’acido urico aiuta a proteggere il cuore e i vasi


Tutti sanno che per guardarsi da infarti e ictus bisogna tenere sotto controllo la pressione, il colesterolo, la glicemia.
Nessuno finora aveva mai sospettato che anche l’acido urico potesse essere un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari: ignorato dai più, noto soltanto a chi soffre di gotta, è invece un nuovo nemico per cuore e vasi che dovremmo tutti imparare a conoscere.
Le ricerche che puntano il dito contro questa sostanza negli ultimi anni si sono accumulate e ormai gli esperti non hanno più dubbi: l’eccesso di acido urico nel sangue, ovvero l’iperuricemia, è corresponsabile di circa il 40 per cento di tutti gli infarti che si registrano ogni anno in Italia.

Misurare l’acido urico

Per questo è al via il progetto Medico amico del Sindacato nazionale autonomo medici italiani (Snami): l’obiettivo è far sì che la gente inizi almeno a sentir parlare di acido urico e decida di misurarlo, visto che il test sul sangue è semplice ed economico e che le stime parlano di almeno 13 milioni di italiani con l’uricemia troppo alta.
«Se per strada chiedessimo alle persone i valori di pressione, uno su due saprebbe indicarli, il 20 per cento sarebbe in grado di dire i propri livelli di colesterolo, ma meno di due su cento si rivelerebbero a conoscenza dell’uricemia - osserva Claudio Borghi, del Dipartimento di Medicina interna, dell’invecchiamento e malattie nefrologiche dell’Università di Bologna -.
Eppure, l’eccesso di acido urico è un fattore di rischio perfino più “pesante” delle alterazioni dei lipidi nel sangue».


Aumentato rischio di mortalità

Gli studi scientifici hanno, ad esempio, verificato che l’iperuricemia aumenta fino al 26 per cento il rischio di mortalità per cause cardiovascolari e del 22 per cento l’eventualità di un ictus, triplica il pericolo di diabete e ha effetti negativi sia sulla pressione arteriosa che sulla funzionalità dei reni. Non è un caso, perciò, che i malati di gotta, che hanno un’iperuricemia assai elevata, abbiano una probabilità parecchio più alta del normale di andare incontro a infarti e diabete.
«I meccanismi del danno da acido urico sono numerosi - interviene Angelo Testa, presidente Snami -.
I cristalli di urato, ad esempio, possono depositarsi sulla parete delle arterie creando piccole “asperità” su cui poi si depone il colesterolo, dando luogo a placche aterosclerotiche».
«Inoltre, - aggiunge Borghi - i processi biochimici di sintesi dell’acido urico portano alla formazione di una grossa quantità di radicali che favoriscono l’ossidazione, alterando la funzionalità della parete dei vasi e rendendoli perciò più suscettibili all’aterosclerosi».
L’eccesso di acido urico, inoltre, è legato a doppio filo alla sindrome metabolica, il complesso di anomalie del metabolismo che si manifesta con sovrappeso, resistenza all’insulina, colesterolo e trigliceridi oltre i limiti e pressione alta: si è infatti verificato che l’acido urico promuove alterazioni infiammatorie sulle cellule di grasso che preludono alla comparsa di obesità e diabete, mentre l’iperinsulinemia tipica della sindrome metabolica riduce l’escrezione di acido urico dai reni favorendone perciò la deposizione.
Un circolo vizioso insomma, in cui una sola cosa pare certa: è bene sapere quanto acido urico abbiamo in circolo e tenerlo basso.
«La soglia attuale è fissata in 6 milligrammi per decilitro di sangue: oltre i 6,5 sappiamo che gli urati possono iniziare precipitare dando avvio alla gotta - spiega Borghi -.
Sembra però che per il rischio cardiovascolare il valore limite debba essere un po’ abbassato, attorno a 5,5 mg/dl: già a questi livelli, infatti, la probabilità di aterosclerosi cresce, soprattutto nei pazienti che hanno altri fattori di rischio come ipertensione, colesterolo alto o iperglicemia».