Alcuni ormoni sono correlati allo sviluppo di neoplasie, promuovendo la proliferazione cellulare.
I tumori la cui nascita è maggiormente influenzata dagli ormoni sono quelli legati al sesso come il cancro della mammella, dell'endometrio, della prostata, dell'ovaio e del testicolo, oltre ai tumori della tiroide e delle ossa.
I livelli ormonali di un individuo sono in gran parte determinati geneticamente, quindi questo potrebbe spiegare almeno in parte la presenza di alcuni tipi di neoplasie che si verificano spesso all'interno di alcuni gruppi familiari che non presentano geni particolari.
Ad esempio, le figlie di donne che hanno avuto un cancro alla mammella, hanno livelli significativamente più elevati di estrogeni e progesterone.
Questi elevati livelli di ormoni possono spiegare perché queste donne hanno un rischio più elevato di neoplasie mammarie.
Allo stesso modo, gli uomini di origine africana hanno livelli significativamente più elevati di testosterone rispetto agli uomini di origine europea e di conseguenza presentano un'incidenza di tumore alla prostata più elevata.
Gli uomini di origine asiatica, con i più bassi livelli di testosterone, godono della minore incidenza.
Tuttavia, i fattori non genetici sono anche rilevanti: le persone obese hanno più alti livelli di alcuni ormoni associati con il cancro e quindi una maggiore incidenza di tali tumori.
Le donne che assumono terapia ormonale sostitutiva hanno un rischio maggiore di sviluppare tumori associati a questi ormoni.
Alcuni trattamenti e approcci di prevenzione prevedono la riduzione artificiale dei livelli di tali ormoni, al fine di evitare i tumori ormone-sensibili.
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domenica 23 agosto 2015
giovedì 5 febbraio 2015
Un attacco al 'motore' del cancro alla prostata avanzato, in Italia un nuovo farmaco
Riferimenti: Articolo tratto dal sito adnkronos
Un'arma per mirare dritto al 'motore' che fa crescere il cancro alla prostata, il recettore del testosterone. Dopo il fallimento della chemioterapia per i pazienti con carcinoma avanzato resistente alla castrazione è oggi disponibile in Italia un nuovo farmaco: enzalutamide, un agente ormonale di ultima generazione che si assume per via orale. Un'opzione in più 'nell'armadietto' degli oncologi per trattare, migliorando sopravvivenza e qualità di vita, i malati più difficili, rimasti a lungo "praticamente orfani di cure efficaci", sottolineano gli esperti oggi durante un incontro promosso a Milano da Astellas Pharma che ha messo a punto il farmaco, dispensato dal Servizio sanitario in fascia 'H', dietro ricetta non rinnovabile dei Centri ospedalieri o degli specialisti.
La nuova terapia aggiunge un tassello alle strategie disponibili contro il cancro della prostata, secondo per diffusione nella popolazione maschile europea dopo i tumori cutanei: rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli over 50 e la fascia più colpita è quella over 70, anche se nell'ultimo decennio sono in aumento i casi registrati tra i 60 e i 70 anni. Complessivamente il cancro alla prostata viaggia in Italia al ritmo di circa 42 mila nuove diagnosi l'anno e causa 8 mila morti. E se, con la diagnosi precoce e il contributo delle nuove tecnologie, fa in generale meno paura di un tempo (la sopravvivenza è di circa l'88% a 5 anni dalla diagnosi), è anche vero che oltre il 40% degli uomini colpiti sviluppa metastasi e, di questi, un numero elevato diventa resistente alla castrazione, ossia al trattamento di deprivazione androgenica.
Non mancano le diagnosi tardive: "Circa il 10-20% dei casi viene 'stanato' in fase già avanzata - spiega Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all'università Sapienza di Roma e direttore dell'Unità operativa complessa di oncologia medica dell'Azienda ospedaliera Sant'Andrea della Capitale - Questo dipende in parte dalla natura del tumore, le cui alterazioni nella parte più esterna della ghiandola prostatica non danno segni della patologia se non quando il tumore è molto cresciuto, in parte dalla carenza di indagini diagnostiche".
Oggi il paziente si trova davanti diverse strade, da modulare in base alle caratteristiche e al grado di aggressività della malattia: chirurgia, radioterapia, ablazione focale, ormonoterapia, chemio. "La terapia ormonale, uno dei cardini del trattamento farmacologico - spiega Francesco Montorsi, professore ordinario di Urologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano - fa leva sul ruolo che gli androgeni, in particolare il testosterone, giocano nella crescita, lo sviluppo e la proliferazione del tumore prostatico".
Enzalutamide inibisce in modo selettivo il recettore degli androgeni (testosterone), bloccandolo in maniera duratura nel tempo, ripristinando un controllo sulla cellula tumorale prostatica e inducendone in alcuni casi la morte. Il recettore degli androgeni è "il principale oncogene responsabile dell'aggressività della neoplasia - chiarisce Alfredo Berruti, professore associato di Oncologia medica all'università degli Studi di Brescia, Ao Spedali Civili - Il nuovo farmaco azzera la sua funzione stimolante agendo a più livelli: inibisce il legame recettore-testosterone, inibisce la traslocazione del segnale dal citoplasma all'interno del nucleo delle cellule e, da ultimo, inibisce la stimolazione del Dna a sintetizzare le proteine responsabili della crescita tumorale".
Nello studio Affirm, enzalutamide si è mostrato in grado di contrastare la crescita del tumore e delle metastasi, migliorando in maniera la sopravvivenza globale (4,8 mesi) rispetto al placebo (18,4 vs 13,6 mesi), con miglioramento della sopravvivenza libera da progressione radiografica, in pazienti che si dimostravano non più responsivi all'ormonoterapia tradizionale e alla chemioterapia. "Siamo un'azienda che investe il 17% del fatturato, quindi oltre un miliardo di euro l'anno, in ricerca - sottolinea Ermanno Buratti, direttore generale Astellas Pharma - enzalutamide, insieme ad altri prodotti, è il risultato di questo sforzo enorme".
Un'arma per mirare dritto al 'motore' che fa crescere il cancro alla prostata, il recettore del testosterone. Dopo il fallimento della chemioterapia per i pazienti con carcinoma avanzato resistente alla castrazione è oggi disponibile in Italia un nuovo farmaco: enzalutamide, un agente ormonale di ultima generazione che si assume per via orale. Un'opzione in più 'nell'armadietto' degli oncologi per trattare, migliorando sopravvivenza e qualità di vita, i malati più difficili, rimasti a lungo "praticamente orfani di cure efficaci", sottolineano gli esperti oggi durante un incontro promosso a Milano da Astellas Pharma che ha messo a punto il farmaco, dispensato dal Servizio sanitario in fascia 'H', dietro ricetta non rinnovabile dei Centri ospedalieri o degli specialisti.
La nuova terapia aggiunge un tassello alle strategie disponibili contro il cancro della prostata, secondo per diffusione nella popolazione maschile europea dopo i tumori cutanei: rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli over 50 e la fascia più colpita è quella over 70, anche se nell'ultimo decennio sono in aumento i casi registrati tra i 60 e i 70 anni. Complessivamente il cancro alla prostata viaggia in Italia al ritmo di circa 42 mila nuove diagnosi l'anno e causa 8 mila morti. E se, con la diagnosi precoce e il contributo delle nuove tecnologie, fa in generale meno paura di un tempo (la sopravvivenza è di circa l'88% a 5 anni dalla diagnosi), è anche vero che oltre il 40% degli uomini colpiti sviluppa metastasi e, di questi, un numero elevato diventa resistente alla castrazione, ossia al trattamento di deprivazione androgenica.
Non mancano le diagnosi tardive: "Circa il 10-20% dei casi viene 'stanato' in fase già avanzata - spiega Paolo Marchetti, professore ordinario di Oncologia all'università Sapienza di Roma e direttore dell'Unità operativa complessa di oncologia medica dell'Azienda ospedaliera Sant'Andrea della Capitale - Questo dipende in parte dalla natura del tumore, le cui alterazioni nella parte più esterna della ghiandola prostatica non danno segni della patologia se non quando il tumore è molto cresciuto, in parte dalla carenza di indagini diagnostiche".
Oggi il paziente si trova davanti diverse strade, da modulare in base alle caratteristiche e al grado di aggressività della malattia: chirurgia, radioterapia, ablazione focale, ormonoterapia, chemio. "La terapia ormonale, uno dei cardini del trattamento farmacologico - spiega Francesco Montorsi, professore ordinario di Urologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano - fa leva sul ruolo che gli androgeni, in particolare il testosterone, giocano nella crescita, lo sviluppo e la proliferazione del tumore prostatico".
Enzalutamide inibisce in modo selettivo il recettore degli androgeni (testosterone), bloccandolo in maniera duratura nel tempo, ripristinando un controllo sulla cellula tumorale prostatica e inducendone in alcuni casi la morte. Il recettore degli androgeni è "il principale oncogene responsabile dell'aggressività della neoplasia - chiarisce Alfredo Berruti, professore associato di Oncologia medica all'università degli Studi di Brescia, Ao Spedali Civili - Il nuovo farmaco azzera la sua funzione stimolante agendo a più livelli: inibisce il legame recettore-testosterone, inibisce la traslocazione del segnale dal citoplasma all'interno del nucleo delle cellule e, da ultimo, inibisce la stimolazione del Dna a sintetizzare le proteine responsabili della crescita tumorale".
Nello studio Affirm, enzalutamide si è mostrato in grado di contrastare la crescita del tumore e delle metastasi, migliorando in maniera la sopravvivenza globale (4,8 mesi) rispetto al placebo (18,4 vs 13,6 mesi), con miglioramento della sopravvivenza libera da progressione radiografica, in pazienti che si dimostravano non più responsivi all'ormonoterapia tradizionale e alla chemioterapia. "Siamo un'azienda che investe il 17% del fatturato, quindi oltre un miliardo di euro l'anno, in ricerca - sottolinea Ermanno Buratti, direttore generale Astellas Pharma - enzalutamide, insieme ad altri prodotti, è il risultato di questo sforzo enorme".
domenica 7 aprile 2013
Low Testosterone Levels May Herald Rheumatoid Arthritis in Men
From Science Daily website (see original article)
Apr. 3, 2013 — Low testosterone levels may herald the subsequent development of rheumatoid arthritis in men, suggests research published online in the Annals of the Rheumatic Diseases.
Sex hormones are thought to play a part in the development of rheumatoid arthritis, and both men and women with the condition tend to have lower levels of testosterone in their blood than healthy people.
But it is not clear whether this is a contributory factor or a consequence of the disease.
The researchers based their findings on participants of the Swedish Malmo Preventive Medicine Program (MPMP), which began in 1974 and tracked the health of more than 33,000 people born between 1921 and 1949.
As part of their inclusion in the Program, participants were subjected to a battery of tests, completed a questionnaire on health and lifestyle factors, and left blood samples after an overnight fast.
The authors identified all those MPMP participants who were subsequently diagnosed with rheumatoid arthritis up to December 2004 by cross checking national and regional registers.
Stored blood samples were available for 104 of the men who subsequently developed rheumatoid arthritis, and for 174 men of the same age who did not develop the disease.
The average period of time that elapsed between donating the blood sample and a diagnosis of rheumatoid arthritis was just under 13 years, but ranged from one to 28.
Rheumatoid factor status was known at diagnosis for 83 of the men, almost three out of four (73%) of whom tested positive for it; the rest tested negative. Rheumatoid factor is an antibody that indicates disease severity and is used to categorise the condition.
After taking account of smoking and body mass index, both of which can affect the risk of rheumatoid arthritis, men with lower levels of testosterone in their blood samples were more likely to develop the disease.
This was statistically significant for those who tested negative for rheumatoid factor when they were diagnosed.
These men also had significantly higher levels of follicle stimulating hormone -- a chemical that is involved in sexual maturity and reproduction -- before they were diagnosed with rheumatoid arthritis.
This is likely to be secondary to reduced testosterone production, say the authors.
The findings prompt them to suggest that hormonal changes precede the onset of rheumatoid arthritis and could influence disease severity.
They point to other studies, which indicate that testosterone may dampen down the immune system, so quelling inflammation. Rheumatoid arthritis is also more likely to go into remission in its early stages in men, they say.
Apr. 3, 2013 — Low testosterone levels may herald the subsequent development of rheumatoid arthritis in men, suggests research published online in the Annals of the Rheumatic Diseases.
Sex hormones are thought to play a part in the development of rheumatoid arthritis, and both men and women with the condition tend to have lower levels of testosterone in their blood than healthy people.
But it is not clear whether this is a contributory factor or a consequence of the disease.
The researchers based their findings on participants of the Swedish Malmo Preventive Medicine Program (MPMP), which began in 1974 and tracked the health of more than 33,000 people born between 1921 and 1949.
As part of their inclusion in the Program, participants were subjected to a battery of tests, completed a questionnaire on health and lifestyle factors, and left blood samples after an overnight fast.
The authors identified all those MPMP participants who were subsequently diagnosed with rheumatoid arthritis up to December 2004 by cross checking national and regional registers.
Stored blood samples were available for 104 of the men who subsequently developed rheumatoid arthritis, and for 174 men of the same age who did not develop the disease.
The average period of time that elapsed between donating the blood sample and a diagnosis of rheumatoid arthritis was just under 13 years, but ranged from one to 28.
Rheumatoid factor status was known at diagnosis for 83 of the men, almost three out of four (73%) of whom tested positive for it; the rest tested negative. Rheumatoid factor is an antibody that indicates disease severity and is used to categorise the condition.
After taking account of smoking and body mass index, both of which can affect the risk of rheumatoid arthritis, men with lower levels of testosterone in their blood samples were more likely to develop the disease.
This was statistically significant for those who tested negative for rheumatoid factor when they were diagnosed.
These men also had significantly higher levels of follicle stimulating hormone -- a chemical that is involved in sexual maturity and reproduction -- before they were diagnosed with rheumatoid arthritis.
This is likely to be secondary to reduced testosterone production, say the authors.
The findings prompt them to suggest that hormonal changes precede the onset of rheumatoid arthritis and could influence disease severity.
They point to other studies, which indicate that testosterone may dampen down the immune system, so quelling inflammation. Rheumatoid arthritis is also more likely to go into remission in its early stages in men, they say.
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